La prima volta delle cose, Antonella Sbuelz in copertina dipinto di Tito Maniacco, “L’onda” Edizioni Culturaglobale Cormons (GO) collana “100” plaquette stampata in 100 esemplari ISBN 978-88-95384-47-4
Lo sentiamo tutti che ci vorrebbe il buono delle cose / – la loro prima volta, intatta e pura – a ridarci l’equilibrio. Ma, lo sa bene Antonella Sbuelz, non basta l’istinto dei ricordi: vi furono anche le prime volte della paura, del distacco, dell’ombra, e occorre il coraggio della memoria a redimere il passato. Né basta ancora: la prima volta vera, l’inizio ultimo, è quando uno sguardo ci fa nuovi, e con noi ogni cosa. E non altro è la poesia: prima e irripetibile volta, cose dette come non mai, come non mai belle. Si leggono, le poesie di Antonella, con l’alba negli occhi. Mario Turello
Antonella Sbuelz vive a Udine, dove è nata. Insegna presso il Liceo “A. Malignani” della sua città e scrive da sempre: ha iniziato con le prime poesie a otto anni, poi non ha più perso il vizio. E’autrice di raccolte poetiche, saggi critici, racconti e romanzi, fra cui Greta Vidal (Frassinelli, 2009; Premio Selezione Ultima Frontiera), tradotto ed edito in Inghilterra da Trobadour nel 2013, Il movimento del volo (Frassinelli, 2007; Premio Biblioteche di Roma, Premio Predazzo, Premio Caterina Percoto ex equo con Tito Maniacco; Finalista Premi Rhegium Julii e Domenico Rea), Il nome nudo (Mobydick, 2001), Amori minimi (Mobydick, 1997). Tra le sue ultime raccolte poetiche, Transitoria (Raffaelli, 2011; Prefazione di Davide Rondoni; Premio Colline di Torino, Città di Forlì, Città di Alberona) e, recentissima, La misura del vicino e del lontano (Raffaelli, 2016; Prefazione di Davide Rondoni). Collabora con riviste culturali e conduce corsi di scrittura autobiografico-creativa nella scuola. Molte le sue pubblicazioni su riviste e volumi collettivi. Fra i testi più recenti su antologia: Julia non è qui, in “Io sono il nord est. Voci di scrittrici per raccontare un territorio” (Apogeo, 2016) e Malta, malte, in “La notte che il Friuli andò giù. Dieci voci raccontano il territorio del ’76” (Bottega Errante, 2016). È appassionata di microstoria e indaga l’impatto fra l’iceberg della Storia detta grande e le minuscole chiglie di sconosciute storie individuali. Alla sua produzione letteraria sono stati assegnati prestigiosi premi. Tra gli ultimi l’Ugolini Zoli-Città di Forlì 2015 per la produzione critica, l’Alda Merini 2014 e il Laurentum 2015 per la poesia.
Alba negli occhi La prima volta del ricordo Il tuo primo ricordo, verde e nero, sa di terra e di erba bagnata: lo sguardo che si impiglia in fondo al vuoto, l’ondeggiare del tuo corpo di tre anni, il piede che manca la presa sul ciglio delle fondamenta scure, pronte a inghiottirsi il corpo e le paure. Il cielo si squaderna, rovesciato, in una voragine remota. L’aria sfugge dalle dita, dai polmoni. La memoria sa rammendare i vuoti, sa innescare una trama di dettagli dove il ricordo vacilla: un groppo di radici ad attutire, il verso di un uccello, un ciuffo d’erba. L’urlo che incrina l’aria di cristallo. E il mistero di un atterraggio illeso, che toglie peso al tempo, alla caduta. La risalita no, non la ricordi. In braccio a chi non sai, il ricordo tace. Ma ci vorrebbe il buono delle cose – la loro prima volta intatta, pura – a ridare l’equilibrio su quel ciglio. A fare alba negli occhi, come allora.
Pedale La prima volta del volo L’alba del pedale è nel tuo piede, nell’indole del volo che gli imprimi: poi le ruote mordono la strada, sfiorano i tronchi dei gelsi, risalgono ai semi delle cose: il cielo in alto, in basso terra buona, l’aria azzurra che scivola in gola. Sotto i palmi sudati delle mani, il manubrio ha la certezza dell’estate quando giugno scrolla via la primavera. Frange di sole filtrano fra i rami. L’infanzia ritrovata è un colpo d’ala, se di volata imbocchi la discesa. Il mondo asciuga ai raggi i suoi colori, scioglie ogni ombra arresa alla fatica. Nel tramonto color uva e zafferano la libertà è il respiro fuso al vento, è il vicino che si inghiotte ogni lontano.
Impronte La prima volta dello strappo Ma non è vero che il passato passa. Il passato rimane sospeso come polvere in una stanza al sole, quando l’estate scrolla il cuore al buio e l’ombra si acquatta nelle pieghe del giorno che si spinge nella sera. Rimangono gli attimi puliti e la scorza degli attimi sprecati, e la città sommersa dei rimpianti nel blu di un cielo rovesciato in mare, e le notti cadute per sbaglio su distanze spalancate all’improvviso e sui nomi che abbiamo più amato. Rimane qualche sguardo, una parola. La polpa di un incanto, una paura. E il barcollare tiepido, leggero, della tua prima corsa in grembo al mondo: quando i rami – come a maggio i desideri – lasciavano impronte nella luce, e dentro la memoria della luce c’è la mia mano che ha tremato piano nell’attimo che ti ha lasciato andare, mentre la voce ti diceva Va’.
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