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La postfazione di Claudia Zironi

La Nobel 1945 Gabriela Mistral, nella sua poesia ‘La donna forte’ scriveva: “Mi ricordo il tuo viso che si fissò nei miei giorni, / donna dalla gonna azzurra e dalla fronte abbronzata, / che nella mia infanzia e sopra la mia terra d’ambrosia/ vidi aprire il solco nero in un aprile ardente. /…/ e ancora seguo la tua ombra nei solchi con il mio canto!”

Donne sconosciute che fanno da bussola e da ispirazione per tutto l’arco della vita ad altre donne sono le protagoniste di questa plaquette di Patrizia Dughero. Dughero ricorda qui la nonna Lia, friulana di Cormons, che abbiamo già trovato in precedenti suoi libri, ma dedica la sua attenzione anche ad altre, amiche della nonna (da qui il titolo Alle amiche), sempre vissute nella prima metà del Novecento, che ha potuto incontrare solo in foto d’epoca. Tuttavia non siamo di fronte a semplice poesia ecfrastica perché l’autrice un poco descrive, un poco immagina e tanto dialoga con queste donne, rendendole vive nei dettagli e a noi vicine, e rispondendo empaticamente alla domanda accorata di Alma (probabilmente scritta sul retro di una delle foto e riportata in

esergo della quinta poesia): “Sarò ricordata qualche volta?” Nella settima e ultima poesia Dughero riporta, insieme ai nomi di tutte le “amiche” anche quelli delle autrici che sente di accogliere in sé e nella propria parola e delle quali avvertiamo gli echi procedendo nella lettura: Amelia Rosselli, Antonia Pozzi, Ingeborg Bachmann, Elizabeth Bishop, Ida Travi.

“Anche quando non parla di natura, la poesia di Patrizia pare biologia all'opera, vita che si cerca attraverso la materia. Come una pianta e un corpo, si impone anzitutto come presenza e cela il proprio significato nelle pieghe, nei dettagli”. È il ‘Porto dei Benandanti’ a dire ciò di Patrizia Dughero, di origine cormonese, laureata in Arti Visive a Bologna. Esordisce con la prima silloge Luci di Ljubljana, cui seguono altre pubblicazioni tra monografie e plaquette poetiche: Le stanze del sale, Filare i versi/Presti Verze, traduzione di Jolka Milič, Canto del sale, L’ultima foglia, Camera Oscura. Alla scrittura poetica, tradotta in spagnolo, sloveno e tedesco, affianca quella di articoli letterari e recensioni. È stata capo redattrice della rivista “Le voci della Luna” ed è responsabile editoriale di 24marzo Onlus, associazione attiva sui diritti umani.

Nel 2012 ha fondato a Bologna con Simone Cuva la casa editrice “qudulibri” che ha trasportato a Gorizia, dove attualmente lavora e risiede. 

 

Accetti dove sei. Appena sveglia restituisci

chiarore e lucentezza. Luce bianca, tela

d’organza a risarcire gli avi e Lia

 

Giornate brevi e regolate

secondo le prescrizioni del medico

- questo è l’oggi.

Quell’incessante fuggire del tempo

quel fluire del tempo

quel fluire delle immagini

- così era allora.

E l’attimo in cui tutto s’arrestava

                                                   e voi.

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Sulle scale di un altro colore

Cartavetro, vernice,

colore che si sfoglia

e dice
tutte le ruggini

della ringhiera

sulla pianura

piano
mano dopo mano

una striscia di cose

quel darsi alla luce

che strega le sere

d’estate

poi, di nuovo,

quel fischio

l’andare nascosto

del treno

cui mi insegnasti a credere

senza guardare
la radice dell’amore

sorridevi

è tutta lì
e chiamavi fiducia
fantasia
questo lembo d’azzurro che

non va più via.

Maurizio Mattiuzza

Scale di un altro colore

Ricerca continua di un rapporto dialettico con la realtà, profonda indagine della società contemporanea, inesausta riflessione sull’essenza e sul significato dell’essere uomo nella sua tensione verso l’altro e l’altrove: è questa la cifra poetica di Maurizio Mattiuzza.

La sua poesia chiama al coraggio del pudore, dell’ascolto, del ricordo, all’attenzione costante di ciò che ci accade attorno e dentro, alla dismissione della presunzione di arrivare ad una comprensione immediata del mondo e di noi stessi. Al coraggio, insomma, di pensarci sempre mediati, abitati da “chi è passato prima / dandoci il sangue” e “il colore degli occhi”.

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Ho lasciato la savana in cerca della giungla   

                                    

Ho lasciato la savana, mia terra

infuocata, bruciata, colorata, dorata.

Ho lasciato la savana, dove la lucente                                                               notte

regalava alle mie mani le stelle,

dove cielo e terra sembrano unite

in un unico abbraccio.

Ho lasciato il calore del sole

per il vento gelido del nord.

 

Cercando una vita migliore

ho pagato un tributo umiliante,

bruciante è rimasto l'addio

ma a nuova vita non m'arrendo

Pia Comoretto

Fiori di malva

Questo titolo, perché.

Eravamo sedute al Caffè, tre colleghe ed amiche. Pia tirò fuori dalla tasca un piccolo quaderno. Durante il viaggio in treno che la portava dalla sua casa di Palmanova all'ufficio di Trieste e viceversa, da un po' di tempo, specie al mattino presto, aveva cominciato a fissare in scrittura poetica impressioni e suggestioni, ricordi che le passavano più che dagli occhi fisici, attraverso quelli della mente e del cuore. Così, sorseggiando il caffè, volle rivelarci un altro aspetto della sua anima, quel quid vitale che sapeva anche infondere, con naturale talento, nei personaggi che calcava sulla scena teatrale. “Scrivi, scrivi” la incitammo Anna ed io, compagne non solo poi, nel rituale del caffè, ma anche nella più o meno frequente lettura/ ascolto delle sue poesie.

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Clara Maggiore

La pazienza degli alberi

Le sue poesie rivelano un patrimonio di sentimenti che sublimano l’espressione poetica e sorprendono al primo impatto coinvolgendo il lettore per i temi trattati, per il vissuto della poetessa e per quello dei suoi personaggi. La commozione è tangibile quando lei parla di sua madre “mi guardo allo specchio/ e mi vedo com’eri: lo stesso volto/ gli stessi pensieri ”ma anche quando ricorda altri affetti non strettamente famigliari tra cui il suo collega di insegnamento (e anche mai dimenticato amico mio) Alessandro, a cui dedica due liriche “ abbiamo condiviso/ stagioni di parole/ bevendo a lunghi sorsi/ il tempo della scuola/ seminando i pensieri come fiori”.

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