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Ricerca continua di un rapporto dialettico con la realtà, profonda indagine della società contemporanea, inesausta riflessione sull’essenza e sul significato dell’essere uomo nella sua tensione verso l’altro e l’altrove: è questa la cifra poetica di Maurizio Mattiuzza.

La sua poesia chiama al coraggio del pudore, dell’ascolto, del ricordo, all’attenzione costante di ciò che ci accade attorno e dentro, alla dismissione della presunzione di arrivare ad una comprensione immediata del mondo e di noi stessi. Al coraggio, insomma, di pensarci sempre mediati, abitati da “chi è passato prima / dandoci il sangue” e “il colore degli occhi”.

Erede diretto, se non l’unico certo il più strutturato e consapevole, di quella straordinaria stagione di vivacità intellettuale e creativa che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, ha avuto come centro di lavoro e propulsione il Friuli, Mattiuzza ci invita alla messa in pratica, certo rischiosa, di una fiducia preventiva, di una possibilità di stupore quasi infantile; ci invita a lasciare “la chiave / sulla toppa della vita”, a rendere praticabile, con una gioia e profondità che ognuno di noi ha il compito di inventarsi, “il senso provvisorio delle cose” e, in fin dei conti, di noi stessi.

Pericle Camuffo

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