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Questo titolo, perché.

Eravamo sedute al Caffè, tre colleghe ed amiche. Pia tirò fuori dalla tasca un piccolo quaderno. Durante il viaggio in treno che la portava dalla sua casa di Palmanova all'ufficio di Trieste e viceversa, da un po' di tempo, specie al mattino presto, aveva cominciato a fissare in scrittura poetica impressioni e suggestioni, ricordi che le passavano più che dagli occhi fisici, attraverso quelli della mente e del cuore. Così, sorseggiando il caffè, volle rivelarci un altro aspetto della sua anima, quel quid vitale che sapeva anche infondere, con naturale talento, nei personaggi che calcava sulla scena teatrale. “Scrivi, scrivi” la incitammo Anna ed io, compagne non solo poi, nel rituale del caffè, ma anche nella più o meno frequente lettura/ ascolto delle sue poesie.

Pia scriveva e scrive soprattutto per sé, ma già nel dare lettura a noi scriveva anche un po' per gli altri. Un giorno mi disse che le sarebbe piaciuto pubblicare un libretto con i suoi versi, anche se non si riteneva una professionista della scrittura poetica: le sue poesie erano un po' selvatiche, come fiori di campo. “Fiori di malva”, puntualizzai d'istinto. Hanno le diverse sfumature, dal rosa lilla al violetto, di quei fiori un po' magici, amati dalle streghe, che crescono spontanei nei prati, sui margini dei fossi e perfino tra le pietre, ma sono coltivati anche da tempo immemore nei giardini officinali.

Giardini segreti, dove le parole esprimono le percezioni intuitive, leniscono ed aspergono l'anima.

Come fiore di malva Pia Comoretto segue e declina la propria voce, femminile, materna e fiera nell'anelito di libertà, mettendola in scena nel tempo del racconto, come nel susseguirsi delle immagini di un film, potrei dire, talvolta soffermandosi sul fermo immagine, e più spesso chiudendo d'effetto con la battuta/scena finale. Ma seguendo sempre la propria voce, una personale inclinazione narrativa, dai modi e luoghi topici, che la distinguono ed in cui si riconosce nel percepire il flusso della vita.

Sono oltre un centinaio le poesie, tra quelle scritte in poco meno di vent'anni, che Pia qui ora, quasi scostando da un volto segreto la maschera, “espone”. Così il suo sentire, il tempo dell'autore, può trovare risonanza e diventare anche un po' quello del lettore. Pia sperimenta, dunque, forme semantiche e ritmi diversi, mai come esercizio di stile, ma cercando sempre di ridare vita, espressione ai suoi ricordi, alle suggestioni, al susseguirsi delle immagini che l'attraversano, in una costruzione “ricorrente”, a volte quasi paratattica, mentre il ritmo si adatta, ora lento ed un po' da ballata, ora più vorticoso e fulminante, o spezzettato. Fruscii di seta e ruvidità di pietra.

I suoi temi sono luoghi ed attori agresti e silvani, specie nella breve ed intensa felicità di un haiku; l'innocenza ed il dolore, ma anche l'incanto immaginifico dell'infanzia, l'amore materno (un filo rosso che la lega alla madre come al figlio) che nutre e culla, come poi le onde del mare; e ritroviamo sia la passione che il distacco e poi disegni d'ombra e di luce, come nebbie e foschie della natura e dell'anima; nello scorrere del tempo, dall'alba al crepuscolo, dal sorriso lucente al pianto della notte, scandisce la magia della vita, nello spazio e tempo rivissuti nella sua città stellata o altrove. E ritroviamo anche talvolta un'urgenza di partecipazione e sdegno civile.

Ci sono naturalmente, i tempi di latenza, in cui il fiume scorre sotterraneo senza poter trovare l'alveo della scrittura, e ci sono quelli in cui la vena poetica scorre più abbondante e si dipana raccontandosi in variazioni diverse. Unico però sempre, e riconoscibile, il fiume. Unico e sempre riconoscibile il fiore dell'anima.

Renata Da Nova

Trieste, marzo 2021

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