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Nel mare non manca nessuno

autore Federico Zucchi

prefazione di Francesco Tomada

fotografia di Renzo Furlano

Collana versi_diversi 02/2013

Poligrafiche S. Marco Cormòns

Lingua del testo Italiano

ISBN 978-88-95384-25-2

 

Il pane resta memoria

Di fronte alle migliaia di pubblicazioni di poesia che ogni anno vengono proposte sugli scaffali, forse la prima cosa da chiedersi – prima ancora della bellezza del libro in sé – è se quella che stiamo per affrontare abbia la dignità, se cioè porti dentro una pienezza che giustifica il fatto, per noi, di confrontarci e metterci in gioco come lettori. E’ bene allora fugare subito questo legittimo dubbio, dicendo che “Nel mare non manca nessuno” possiede una densità di scrittura e di contenuti tale da meritare il tempo che richiede: si tratta di una raccolta meditata, sedimentata, che nasce dalla necessità più che dal semplice desiderio di scrivere. Ecco, dopo avere sottolineato questo aspetto possiamo addentrarci, scoprire, esplorare, sapendo che ciò che troveremo ha una sua ragione e una collocazione non casuale; adesso possiamo parlare del valore della poesia.

Recentemente un amico mi confidava di ritenere fondamentali, in una raccolta poetica, i primissimi testi: devono corrispondere al titolo, evocare un’atmosfera, creare un ambiente che risulti coerente e sincero. La prima poesia qui è proprio quella che dà il nome all’intera raccolta, il primo verso è “Nuota, nuotammo, nuoteranno”; e la breve composizione termina con “voltati / ci sei anche tu / porgi ascolto / affiora”. La corrispondenza di cui si diceva non è soltanto una convergenza lessicale, quanto piuttosto una domanda di attenzione che Federico Zucchi fa per se stesso, ma soprattutto per noi e verso noi stessi; ed insieme ci dice che leggere non sarà, non potrà limitarsi ad un atto passivo. “Nel mare non manca nessuno” si apre con una chiamata, che è diversa da un semplice benvenuto.

Nelle prime poesie c’è una forte presenza dell’elemento-acqua, e l’orizzonte appare dilatato nello spazio e nel tempo, un orizzonte più spirituale che geografico. È però un passaggio breve, come quell’evocare l’atmosfera di cui prima si diceva. Subito dopo, al contrario, il viaggio diventa molto più fisico e terreno, e si contestualizza in luoghi che spesso sono impoetici quasi per definizione, come parcheggi d’ospedale, carceri, capannoni. In un’altra delle pietre angolari della raccolta, Perché scrivo – anche qui un titolo che è già in sé significato-, quella che sembra una dichiarazione di poetica termina con questi splendidi versi: “scrivo per ricordarmi / del profumo di maggio / avvinghiato a chi amo / nella sala d’aspetto / d’un pronto soccorso”. L’improvvisa chiusura, il passaggio dal mondo dei sentimenti ad una stanza che si immagina piena di tensione e sofferenza, si traduce in un capovolgimento che apre nuove prospettive, che fa vivere gli affetti in una dimensione reale, spesso intrisa di drammaticità, ed evidenzia un filo rosso che percorre tutto il libro, perché “solo con la persistenza di un amore più vasto / il dolore può mettersi in salvo.”

Non si tratta di una poesia civile, almeno non in modo evidente o dichiarato. E probabilmente è meglio così, perché, al di là degli intenti, spesso la poesia civile paga il tentativo di comunicare diventando troppo scolastica e quasi forzata. Federico Zucchi solo a volte espone, mentre molto più spesso evoca o suggerisce. C’è però un forte senso etico che percorre la raccolta, che è un richiamo – che non arriva da qualcuno che si pone come maestro, ma da un’altra persona come noi – a cercare di raccogliere la pienezza nella nostra umanità, a dare un senso ai gesti e alle situazioni. “Perché un destino si compia / non basta crescere verso la morte”, serve molto di più, “ci vuole una sporta di cuori selvaggi”, ci vuole tenacia, “bisogna sempre essere pronti / per un banchetto che non si farà attendere”. A volte quel “cuori selvaggi” si declina in un’ingenuità adulta, come quando si parla del puma randagio che si aggira nella bassa pianura; altre invece si manifesta in un senso di stupore, o sottile malinconia, o abbandono allo scomodo conforto del ricordo.

Forse però ciò che più colpisce in “Nel mare non manca nessuno” è che il libro è permeato da un senso di fratellanza profonda, che va ben oltre i legami di sangue – che pure sono vivi e presenti – e si estende fino a includere anche chi legge: “Sei stata tu per prima, / sorella, imperatrice bambina, / a farmi sentire fratello / di un mondo più vasto d’una sola famiglia”. Da un lato la forza di questa prospettiva è nel generare un senso di partecipazione, dall’altro la sua verità è nel non essere solo un strumento stilistico, quanto una necessità che Federico Zucchi riesce a rendere evidente per sé e per noi. Così, anche quando la sua scrittura diventa più esplicita, lo fa con il tono di un invito, di una esortazione e non di un insegnamento: limpido in questo senso è l’esempio de La sinfonia dei teschi, dove una poesia che potrebbe sfociare in un pacifismo superficiale si risolve invece in tutt’altro, in una emozione che nasce dal ventre, nel “leggete i nomi dei morti / e immaginate la storia dei loro vent’anni”. Ed anche la famiglia dell’autore, che dicevamo essere presente, è una famiglia che si estende a tutti attraverso la condivisione delle emozioni, perché se diversi sono i luoghi – luoghi ben definiti, caratterizzati e indicati per nome, quasi a volergli togliere ogni idea di mitologia – uguali sono gli affetti, le madri, i padri, a volte le tombe.

Con una scrittura densa, lontana da artifici stilistici ma al tempo stesso curata e pulita e dunque comunicativa, Federico Zucchi sa insomma cogliere i segni importanti del nostro presente, e porgerli come un prezioso regalo. Ed è appunto il nostro presente, “perché tutto ci parla / l’astice nell’acquario della pizzeria, / l’amore che si posa sul lago del ventre, il corpo papiro del vecchio che nuota / in un mistero senza interpreti”. Se “ogni solitudine sogna un’alleanza” qui viene offerta una possibilità, “una rima di fianchi in fine di sera”. Perché solo questo, forse, ci può aiutare e sostenere: “è la forza protettiva della bellezza / a dispiegarsi contro l’annunciata polvere”, e la bellezza non è – o non è soltanto – quella che appare, ma quella cercata, costruita, ascoltata, quella bellezza spesso dolente e nascosta che custodiamo nella nostra “sconfinata umanità”.

Francesco Tomada

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