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Di nuvole e lontananza

Gaia Rossella Sain

in copertina

Mare Pop 2015, illustrazione di Maurizio Armellin

da “Ho sognato il mare”

ISBN 978-88-95384-50-4

 

Daremo al tempo la colpa

(a te che non sei)

Verranno i giorni

e daremo al tempo la colpa,

dove l'attesa svanì il desiderio

e l'egoismo

chiarì il destino d'ognuno.

Piccoli verbi

crescono di tramonti

tesi alla memoria -

corpi mutevoli

senza nature di foglie.

E verranno le stelle -

petali

in calici aperti.

 

Prefazione

di Gabriele Marchetti

Accostarsi alla poesia di Gaia Rossella Sain (di cui questa plaquette rivela al pubblico una piccola, luminosa porzione) è come tuffare la testa in una pozza d’acqua ancora intoccata. La limpidezza pare infatti la cifra stilistica principale della Sain: lo sfrondamento del testo, a livello linguistico e iconico, da tutto il superfluo che potrebbe comprometterne la riuscita. Si tratta di una stringatezza che non implica affatto una magrezza eccessiva, mancanza di attenzione o di qualche elemento: anzi è presente in queste poesie proprio l’essenziale, l’ineliminabile senso ultimo. Lo stile messo in mostra risente certamente dei modi poetici dell’haiku, come appare da alcune delle chiuse, che se non rispettano la rigida metrica giapponese mostrano pur sempre l’identica attenzione alla concatenazione delle immagini: ad esempio nel componimento che apre la plaquette, Daremo al tempo la colpa, dove il distico e verranno le stelle - / petali in calici aperti (vv. 13-14) conchiude con un’immagine completa e complessa, eppure facilmente esperibile per il lettore, un incipit di raccolta che già delinea uno dei temi principali della Sain: il tempo, che assieme alla memoria, ai propri luoghi e alla musica attraversa tutti i testi. Il tempo, passato e perduto, si rivela in realtà tale solo in senso proustiano, e quindi recuperabile attraverso l’incontroscontro con la realtà degli oggetti, delle sensazioni che essi richiamano; ed è questa necessità delle cose a rappresentare la sola possibilità per la coscienza di perdurare infinitamente nel tempo circoscritto di una vita; il senso del tempo è abissale, come suggeriscono certe immagini arditamente suggestive (ad esempio i pozzi della memoria, in Mele, v. 17; e in Castagne, vv. 6-7, rivedo / film lontani, l’oggettivazione del passato si compie nei riguardi dell’oggetto film); in La parte che soccombe (vv. 7-8, la parte che soccombe /sono io); in Ti riprenderò troviamo un accenno al futuro, alla vecchiaia: la dimensione abissale è possibile di due direzioni, con l’allargamento in avanti del tempo; e ancora in questo testo abbiamo il verso lacrima il tempo / filosofie rapaci, che pare una condanna definitiva: salvo poi ritornare al caldo abbraccio protettivo del ricordo con e rivedo la strada, che rimanda ad una dimensione infantile mai dimenticata, sempre cara. La maledizione della memoria si lega indissolubilmente ai nostri luoghi di appartenenza: un’appartenenza che viene ribaltata, facendo dei luoghi qualcosa di nostro, di riscritto per il

tramite dei ricordi. L’interiorizzazione del luogo (il Friuli, con i suoi elementi caratteristici e riconoscibili: i colli, le montagne, il mare, l’Isonzo) porta ad una rielaborazione in chiave soggettiva della realtà di esso, lo trasforma in esperienza e ricordo, che a loro volta riscrivono il luogo stesso, non più esperibile senza il velo sottile che la memoria vi ha calato sopra, col rischio di trovarlo irriconoscibile, cambiato.

E lo stesso scarto mnemonico può avvertirsi nei confronti della musica, i richiami alla quale punteggiano di lievi presenze, semplici accenni, questi testi: non più semplice sfondo sonoro, ma come nel caso dei luoghi un’appropriazione, una riscrittura soggettiva dello spartito (esperienza che il lettore più distratto avrà vissuto). E se la musica apre porte su altri mondi, come sa indubbiamente fare, compaiono nel tessuto testuale altri appigli per ciò che sta al di là del presente: ad esempio nel testo di Dell’abitudine, v. 15: e resta oltre il fiume, che diventa un confine spirituale prima che geografico, fisico. C’è sempre un’apertura inaspettata verso qualche altra dimensione, temporale o spaziale: l’immagine del pozzo, montaliana, richiama però anche il tuffo di Alice nel mondo delle meraviglie. Il coraggio che serve per guardare al di là, e cosa esiste oltre i nostri personali confini, è lo stesso che qui si trova incarnato in una fermezza di lingua e serenità di immagine che ancora sono rare nel panorama poetico italiano.

 

Gaia Rossella Sain nasce a Palmanova, città fortezza in un

Friuli di mille tesori. Da anni impegnata nella ristorazione,

oggi lavora al resort La Subida di Cormons.

I suoi primi testi poetici vengono inseriti nel 2014 nell'antologia

Cervo Bianco curata da Fabrizio Corselli, alla quale

fanno seguito segnalazioni e premi a concorsi nazionali,

letture e reading di poesia. Oltre alla poesia si dedica allo haikai,

la scrittura di haiku: viene selezionata fra gli autori della

collana Hanami (Edizioni della Sera) per i volumi Primavera

(2015) e Estate (2016).

Fra gli altri progetti, nel 2015 combina l'arte dello haiku a

quella della fotografia in una mostra itinerante dal titolo

Istanti.

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